domenica 29 dicembre 2013

Il barile di Amontillado

di Edgar Allan Poe

Le mille offese di Fortunato le avevo tollerate come meglio mi riusciva, ma quando giunse all’oltraggio giurai vendetta. Voi, che ben conoscete la natura della mia anima, non penserete tuttavia che io abbia dato voce a una sola minaccia. Col tempo mi sarei vendicato; questo era un punto ormai stabilito – ma la stessa perentorietà della mia risoluzione escludeva ogni idea di rischio. Dovevo non soltanto punire, ma punire impunemente. Un torto non è sanato se il castigo ricade sul castigatore. E così, non è sanato qualora il vendicatore fallisca nel mostrarsi come tale a chi l’ha oltraggiato.
Si deve sapere che, non con parole né con fatti, diedi modo a Fortunato di dubitare della mia benevolenza. Continuavo, com’era mia abitudine, a sorridergli, e lui non s’accorgeva che ora il mio sorriso nasceva dal pensiero del suo annientamento.
Aveva un punto debole – questo Fortunato – benché per altri versi fosse un uomo da rispettare e persino da temere. Si vantava di essere un gran conoscitore di vini. Pochi italiani hanno il vero spirito da virtuoso: per la maggior parte il loro entusiasmo serve a trovare tempo e opportunità per imbrogliare i milionari inglesi e austriaci. In fatto di quadri e gemme, Fortunato, come i suoi compatrioti, era un ciarlatano, ma a proposito di vecchi vini non mentiva. Sotto quest’aspetto non differivo molto da lui; ero esperto in annate di vini italiani, e ne compravo abbondantemente ogni volta che potevo.
Era quasi il crepuscolo, in una sera al colmo della follia del carnevale, quando incontrai il mio amico. Mi si avvicinò con calore eccessivo, perché aveva bevuto molto. Era vestito da pagliaccio. Aveva addosso un abito aderente, zebrato, e sul capo un cappello a cono con campanellini. Fui talmente felice di vederlo che pensavo non avrei più smesso di stringergli la mano.
Gli dissi: «Mio caro Fortunato, che bello incontrarti. Come stai bene oggi! Ma io ho ricevuto un barile di quel che passa per Amontillado, e ho i miei dubbi».
«Come?» disse, «Amontillado? Un barile? Impossibile! E nel bel mezzo del carnevale?»

martedì 10 dicembre 2013

Il modello di Pickman

di H. P. Lovecraft

Pazzo? No, Eliot, non sono pazzo: ma credimi, c’è molta gente che ha delle prevenzioni molto più strane della mia.
Non ti fa ridere, forse, il nonno di Oliver, che non vuole assolutamente salire in macchina? E un problema mio, se non mi piace quella maledettissima sotterranea; e poi, arriviamo prima con un tassì. Se fossimo venuti in metropolitana, avremmo dovuto attraversare a piedi tutta la collina partendo da Park Street.
Lo so che il mio nervosismo è peggiorato, rispetto all’anno scorso, quando ci siamo visti, però non farne un caso clinico! Le ragioni sono molte – lo sa il Cielo! – e credo di essere stato fortunato se non sono uscito di senno.
Perché tutte queste domande? Non eri così noioso, prima. D’accordo: se proprio ci tieni, ti racconterò tutta la storia. Forse è meglio, dal momento che non hai fatto altro che scrivermi come un genitore preoccupato, da quando hai saputo che ho tagliato ogni rapporto con il Circolo degli Artisti, e specialmente con Pickman. Ora che lui è sparito, a volte faccio di nuovo qualche visita al Circolo, ma i miei nervi non sono più quelli di un tempo.
No, non ho idea di che fine abbia fatto Pickman, e neanche intendo pensarci. Suppongo tu abbia intuito che ero a conoscenza di certi segreti, quando ho rotto con lui, ed è proprio per questo che non voglio neppure sapere dove diavolo sia. Che la polizia faccia tutte le sue indagini... non credo che troverà molto, se non è neanche al corrente di quella casa decaduta che aveva affittato nel North End sotto il falso nome di Peters.
Io stesso non sono certo di saperla ritrovare: d’altronde non ci proverei neppure in pieno giorno! Sì, sono a conoscenza, o più esattamente, temo di essere a conoscenza, dei motivi per cui aveva preso quella casa. Adesso te lo dico, e sono certo che comprenderai perfettamente perché ho taciuto con la polizia. Vorrebbero che li portassi lì, ed io non potrei tornarvi neanche se conoscessi la strada. C’era qualcosa, là dentro... che adesso mi impedisce di prendere la metropolitana ed anche (ridi pure di questo, se vuoi) di scendere in cantina.

Rip Van Winkle

di Washington Irving


Il seguente racconto fu rinvenuto tra le carte del defunto Diedrich Knickerbocker, un vecchio gentiluomo di New York vivamente interessato alla storia olandese della provincia e alle usanze dei discendenti degli antichi coloni. Tuttavia, le sue ricerche storiche non si svolsero tanto tra i libri quanto tra la gente, perché i primi, purtroppo, erano tristemente scarni di notizie rispetto ai suoi argomenti preferiti; e si era invece accorto che i vecchi abitanti di un borgo cittadino, e soprattutto le loro mogli, avevano un ricco repertorio di leggende, di valore inestimabile per la storia. Tutte le volte che gli capitava perciò di incontrare un’autentica famiglia olandese, comodamente insediata in una fattoria dal tetto basso, all’ombra di un frondoso sicomoro, la considerava alla stregua di un libriccino stampato a caratteri gotici, ben chiuso da un fermaglio, e la studiava con lo zelo di un topo di biblioteca.
Il frutto di queste ricerche fu una storia della provincia sotto il governatorato olandese, pubblicata alcuni anni fa. Diverse sono stati i giudizi sul valore letterario di quest’opera che, a dire il vero, non è gran cosa. Il suo merito principale consiste nella scrupolosa accuratezza che, al primo apparire del libro, suscitò in realtà parecchi dubbi, ma che è stata poi ampiamente riconosciuta, tanto da essere ormai ammesso in tutte le collezioni storiche come testo dall’autorità indiscussa.
Il vecchio gentiluomo morì poco dopo la pubblicazione del volume. Adesso che è morto e sepolto, non può certo nuocere alla sua memoria dire che avrebbe potuto utilizzare meglio il suo tempo con opere di maggior peso. In questa passione, egli era comunque incline a fare di testa sua e sebbene, agli occhi di chi gli stava vicino, ogni tanto facesse una gran confusione e alcuni amici per i quali provava profonda deferenza e affetto ne avessero l’animo rattristato, i suoi errori e le sue follie sono tuttavia ricordati «più con dolore che con ira»3 e s’incomincia a credere che non avesse mai avuto l’intenzione di nuocere o di offendere. Ma comunque il suo ricordo venga giudicato dai critici, è comunque caro a molte persone la cui opinione positiva ancora conta qualcosa. In particolar modo, a certi pasticceri che sono arrivati al punto di imprimere la sua effigie sulle torte di Capodanno, offrendogli in questo modo la possibilità di essere immortale, un po’ come se venisse effigiato sulla medaglia di Waterloo o su un soldino della Regina Anna.